LA RESPONSABILITÀ DEL DIRETTORE DEI LAVORI EX
ART. 1669 C.C.
Secondo la dottrina maggioritaria, la responsabilità
del direttore dei lavori ex art.
1669 sarebbe di tipo contrattuale;
anche la giurisprudenza aveva in un primo tempo
mostrato questo orientamento, sostenendo che il
direttore dei lavori risponde verso il committente
secondo la disciplina delle professioni
intellettuali: pertanto, le responsabilità di
appaltatore e direttore dei lavori non sarebbero
solidali, bensì alternative l’una
all’altra, senza possibilità di regresso. Nella
giurisprudenza di merito, emblematica è la sentenza
pronunciata da App.
Milano, 21 maggio 1974, che riprende i principi
espressi dalla Cassazione negli anni precedenti
riguardo al progettista, estendendoli anche al
direttore dei lavori: “con
specifico riferimento alla responsabilità del
progettista si è dalla S.C. statuito che questi
verso il committente risponde in base ai principi
relativi alla disciplina delle professioni
intellettuali (Cass. 10 maggio 1961, n. 1112).
L’appaltatore ed il progettista rispondono dunque
verso il committente sulla base di un diverso
titolo; da ciò si fa derivare il principio che le
due responsabilità non debbono ritenersi solidali (Cass.
27 marzo 1965, n. 1520). Esse e le relative
azioni stanno quindi in concorso non cumulativo, né
graduale, ma alternativo; il committente può
rivolgersi per l’intero danno contro il solo
appaltatore o contro il solo progettista, a sua
scelta; una volta soddisfatto per l’intero da uno
dei due, nulla può pretendere dall’altro;
soddisfatto da uno solo in parte, può agire contro
l’altro per la
differenza. A sua
volta, chi abbia soddisfatto il committente non ha
regresso verso l’altro debitore, perché nei rapporti
fra i due debitori non si possono estendere
analogicamente le regole proprie delle obbligazioni
solidali (Cass. 6 settembre 1968, n. 2887).
Allo stesso modo, si atteggia il concorso tra la
responsabilità del direttore dei lavori e quella
dell’appaltatore, perché anche in questa ipotesi la
responsabilità dell’appaltatore, derivando dalla
violazione di un contratto di appalto, è
alternativamente concorrente e non solidale rispetto
a quella che può ascriversi o al direttore dei
lavori, derivante dalla violazione di un contratto
di prestazione d’opera professionale”. Sostengono
la responsabilità alternativa anche Cass.
16 maggio 1973, n. 1388; App.
Firenze, 15 aprile 1966; App.
Roma, 27 maggio 1964; Trib.
Perugia, 16 ottobre 1964.
Successivamente, tuttavia, è prevalsa la tesi
secondo cui l’art. 1669 configurerebbe unaresponsabilità
extracontrattuale e
la giurisprudenza ha esteso la sua applicabilità
anche al professionista intellettuale incaricato
della direzione dei lavori, il quale risponderà in
solido con
l’appaltatore ed altri soggetti eventualmente
responsabili. Si veda la
recenteCass. 14
ottobre 2004, n. 20294, per la quale, in tema di
contratto di appalto, qualora il danno subito dal
committente sia conseguenza dei concorrenti
inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei
lavori (ovvero del progettista), entrambi rispondono
solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la
sussistenza della solidarietà, che le azioni e le
omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo
efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando
che le stesse costituiscano autonomi e distinti
fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche
diverse. I
soggetti chiamati a rispondere in virtù dell’art.
1669 sono precisati da Cass.
30 maggio 2003, n. 8811, secondo cui la
natura extracontrattuale di tale responsabilità
trova applicazione a carico di coloro che abbiano
collaborato nella costruzione, sia nella fase di
progettazione o dei calcoli relativi alla statica
dell’edificio, che in quella di direzione
dell’esecuzione dell’opera, qualora detta rovina o
detti difetti siano ricollegabili a fatto loro
imputabile. Per Cass.
10 settembre 2002, n. 13158 può
essere responsabile ex art.
1669 perfino lo
stesso committente che abbia provveduto alla
costruzione dell’immobile con propria gestione
diretta, ovvero sorvegliando personalmente
l’esecuzione dell’opera, sì da rendere l’appaltatore
un mero esecutore dei suoi ordini; il presupposto
della responsabilità risiede quindi, e in ogni caso,
nella partecipazione alla costruzione dell’immobile
in posizione di “autonomia decisionale”, in difetto
della quale lo stesso appaltatore sfugge a tale
forma di responsabilità (nella specie, la S.C. ha
escluso che potesse assumere la responsabilità
sancita dall’art. 1669 c.c. il fornitore dei
materiali utilizzati, non implicando tale
prestazione, che si esaurisce nella consegna dei
prodotti richiesti, alcuna partecipazione, nemmeno
indiretta, alla costruzione dell’immobile). Sul tema
della responsabilità solidale si è pronunciata ancheCass.
22 agosto 2002, n. 12367, secondo cui i coautori
di un illecito aquiliano rispondono in solido nei
confronti del danneggiato, quand’anche le rispettive
condotte siano state tra loro indipendenti, a
condizione che esse abbiano concorso in modo
efficiente alla produzione dell’evento (il principio
è stato affermato dalla S.C. in tema di appalto, con
riferimento ai danni risentiti dal committente in
conseguenza dei concorrenti inadempimenti, ancorché
relativi a contratti differenti, dell’appaltatore e
del progettista-direttore dei lavori). Dello stesso
avviso è Cass.
28 novembre 2001, n. 15124: secondo i principi
generali in materia d’illecito, contrattuale od
extracontrattuale che sia, ove un unico evento
dannoso sia imputabile a più soggetti, è
sufficiente, al fine di ritenere la solidale
responsabilità di tutti nell’obbligo risarcitorio,
che le azioni e/o le omissioni di ciascuno abbiano
concorso in modo efficiente a produrre l’evento, ond’è
che, stante l’autonomia dell’appaltatore
nell’esecuzione dell’opera, questi è, comunque,
tenuto ad agire nel rispetto delle regole dell’arte
sua e, pertanto, è responsabile del danno cagionato
al committente pur ove soggetto ad un’ordinaria
ingerenza da parte di questi e/o del direttore dei
lavori dallo stesso nominato; allorché, infatti, il
danno derivi da carenze o vizi imputabili al
progetto fornito dal committente e/o alla direzione
dei lavori da parte del preposto del committente, la
responsabilità relativa ed il conseguente obbligo
risarcitorio incombono ciò non di meno anche
sull’appaltatore quando questi, accortosi del vizio,
non lo abbia denunziato tempestivamente al
committente manifestando formalmente il proprio
dissenso, ovvero quando non abbia rilevato i vizi,
pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla
perizia ed alla capacità tecniche da lui esigibili
nel caso concreto; denunzia e dissenso che,
tuttavia, non lo esimono dalla responsabilità quando
la palese eventualità del danno avrebbe dovuto
indurlo ad astenersi in ogni caso dall’esecuzione
dell’opera o della parte di essa riscontrate foriere
della situazione di pericolo. Cass.
11 agosto 2000, n. 10719 precisa
che la responsabilità ex art.
1669 esula dai limiti del rapporto contrattuale
corso tra le parti, per assumere la configurazione
propria della responsabilità da fatto illecito;
accertare se sussista o meno nesso causale è, poi,
questione di fatto, come tale rimessa al giudice del
merito. Conformi all’orientamento maggioritario sono
anche: Cass.
28 gennaio 2000, n. 972 (qualora
il danno risentito dal committente di un contratto
di appalto sia ascrivibile alle condotte concorrenti
dell’appaltatore e del direttore dei lavori,
entrambi sono solidalmente responsabili del danno, a
nulla rilevando la diversità dei titoli cui si
ricollega la responsabilità); Cass.
07 gennaio 2000, n. 81; Cass.
26 aprile 1993, n. 4900; Cass.
29 gennaio 1985, n. 488, per la quale sia in
tema di responsabilità contrattuale che di
responsabilità extracontrattuale, se l’unico evento
dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente –
al fine di ritenere la responsabilità di tutte
nell’obbligo di risarcimento – che le azioni od
omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo
efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando
che costituiscano distinti ed autonomi fatti
illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse
(nella specie, è stata ritenuta solidale la
responsabilità, per il danno risentito da una
cooperativa edilizia, del direttore dei lavori e
dell’impresa appaltatrice per inadempienza ai
rispettivi contratti, avendo l’impresa proceduto
alla costruzione di un muro con materiali inidonei e
con modalità non conformi alle regole tecniche).
Risolve una questione di carattere processuale Cass.
27 aprile 1989, n. 1948, secondo cui la
deduzione di una responsabilità del progettista e/o
del direttore dei lavori, esclusiva o concorrente
con quella dell’appaltatore convenuto in giudizio
per rispondere, ai sensi dell’art. 1669 c.c.,
dell’esistenza di gravi difetti costruttivi, non dà
luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario di
carattere sostanziale (che impone di integrare il
contraddittorio), bensì può comportare,
configurandosi una comunanza di causa, la chiamata
del progettista e/o del direttore dei lavori per
ordine del giudice ex art.
107 c.p.c., e così ad un litisconsorzio necessario
di carattere processuale (di cui va assicurato il
rispetto nelle successive fasi del giudizio), senza
che il mancato uso del potere di ordinare
l’intervento del terzo possa formare oggetto di
sindacato da parte del giudice d’appello (che non
potrebbe rimettere la causa al primo giudice
ostandovi il disposto dell’art. 354 c.p.c.) od, a
fortiori, in sede di legittimità. Sullo stesso
punto vi è anche una pronuncia di App.
Cagliari, 22 aprile 1993, per cui la deduzione
di una responsabilità dell’appaltatore ex art.
1669, concorrente con quella del progettista e del
direttore dei lavori, non configura un’ipotesi di
litisconsorzio necessario di carattere sostanziale
(che impone di integrare il contraddittorio), poiché
la decisione può essere utilmente pronunciata nei
confronti solo di alcuni di tali soggetti, rimanendo
impregiudicata la possibilità di accertare in altro
giudizio la concorrente responsabilità degli altri.
Conforme all’orientamento maggioritario della
Cassazione è la più recente giurisprudenza di
merito. Per Trib.
Pescara, 13 settembre 1999, la natura
extracontrattuale della responsabilità prevista
dall’art. 1669 c.c. a carico del committente della
costruzione comporta che in essa possa concorrere
solidalmente il direttore dei lavori, nel caso in
cui il danno subito dal committente di un contratto
di appalto sia conseguenza dei concorrenti
inadempimenti relativi a contratti differenti
(appalto e opera professionale) che vincolano
entrambi i soggetti a rispondere a titolo di
garanzia dei gravi vizi e difetti dell’opera
edilizia. In senso conforme si sono pronunciati: App.
Lecce-Taranto, 10 giugno 1997; Trib.
Roma, 17 novembre 1993; A.
Cagliari, 22 aprile 1993 (la
disciplina dell’art. 1669 c.c. si applica non solo
nei confronti dell’appaltatore ma anche nei riguardi
del progettista e/o direttore dei lavori, poiché la
relativa responsabilità esula dai limiti del
rapporto contrattuale intercorso tra le parti per
assumere la configurazione propria della
responsabilità per fatto illecito); App.
Perugia, 12 marzo 1991 (non
sono cause di esonero della responsabilità del
costruttore ex art.
1669 c.c. né la natura del terreno, né le
manchevolezze del progetto, salvo che l’esecuzione
fosse ordinata all’imprenditore nonostante i suoi
contrari rilievi, né la responsabilità del direttore
dei lavori, che si aggiunge eventualmente a quella
del primo).
A questo punto, constatato che per la giurisprudenza
anche il direttore dei lavori può rispondere a norma
dell’art. 1669, emerge la necessità di identificare
quali compitispettino
al soggetto potenzialmente responsabile nel corso
dell’esecuzione dell’opera, nonché quale sia il
grado di diligenza richiesta.
L’obbligazione del direttore dei lavori, a
differenza di quella del progettista, è qualificata
tradizionalmente dalla giurisprudenza come un’obbligazione
di mezzi (Cass.
22 marzo 1995, n. 3624; Cass.
21 ottobre 1991, n. 11116); ciò non esclude
tuttavia che gli obblighi del direttore possano
essere in realtà molto gravosi, fino a far venire
meno le differenze rispetto ad una tipica
obbligazione di risultato. La responsabilità
solidale rappresenta infatti la scelta più logica
nel caso di un illecito extracontrattuale e
l’affermazione di una responsabilità solidale tra
soggetti obbligati a diverso titolo comporta una
parificazione, seppur sanabile con meccanismi di
rivalsa, fra coloro che dovrebbero essere tenuti ad
obbligazioni di mezzi (il direttore dei lavori) e
gli altri soggetti tenuti invece ad obbligazioni di
risultato (progettista ed appaltatore). In
particolare, Cass.
28 novembre 2001, n. 15124 ritiene
che, costituendo l’art. 1669 un’ipotesi di
responsabilità extracontrattuale - specificamente
regolata anche in ordine alla decadenza ed alla
prescrizione - non assume alcun rilievo la
disciplina dettata dagli artt. 2230 ss. e resta
ininfluente anche la natura dell’obbligazione, di
risultato o di mezzi che sia, assunta dal
professionista nei confronti del cliente committente
dell’opera conferita in appalto.
La giurisprudenza più risalente nel tempo sostiene
che il direttore dei lavori è tenuto all’alta
sorveglianza dei lavori e alla verifica della
rispondenza dell’opera al progetto, senza tuttavia
che egli debba intervenire nell’esecuzione
dell’opera. Il direttore deve eseguire i suoi
compiti attraverso l’emanazione di disposizioni e di
ordini al costruttore, controllando inoltre
l’avvenuta esecuzione degli ordini stessi. Il
controllo, che deve essere svolto con interventi
periodici (non necessariamente continui), non
comprende le operazioni più semplici compiute nel
cantiere, la cui corretta esecuzione rientra nella
sfera di responsabilità del materiale esecutore. E’
opportuno quindi distinguere tra il direttore dei
lavori per conto del committente e quello che invece
agisce come dipendente dell’appaltatore: al secondo
spetta la sorveglianza sulle ordinarie operazioni di
cantiere. I difetti dell’opera possono essere
imputabili al direttore dei lavori solo quando
derivino direttamente dall’inosservanza del dovere
di sorveglianza; non gli sono invece addebitabili i
vizi provocati dalle attività per le quali non è
ragionevole aspettarsi un suo intervento. In questo
senso si sono espresse: Cass.
9 maggio 1980, n. 3051; Cass.
29 marzo 1979, n. 1818 (la
quale esonera il direttore dei lavori dal dover
controllare la qualità del conglobamento cementizio
adoperato dall’appaltatore); Cass.
28 ottobre 1976, n. 3965; Cass.
16 ottobre 1976, n. 3541; Cass.
7 febbraio 1975, n. 475; Cass.
12 luglio 1965, n. 1456 (secondo
cui il direttore dei lavori è responsabile per la
mancata esecuzione degli ordini impartiti, salvo che
il tutto sia avvenuto al di fuori della sua sfera di
sorveglianza); Cass.
4 luglio 1962, n. 1705. Per la giurisprudenza di
merito, si vedano: Trib.
Oristano, 28 giugno 1988 (che
afferma la responsabilità del direttore quando le
difformità derivano da omissioni del dovere di
sorveglianza); App.
Torino, 21 marzo 1959. Un orientamento
giurisprudenziale più recente ha delineato compiti
specifici in
capo al direttore dei lavori. Cass.
27 aprile 1993, n. 4921 impone
al direttore dei lavori di richiedere la verifica
tecnica dei luoghi qualora i rilievi sul suolo
appaiano inadeguati, con lo sconfinamento in un’area
che appartiene tradizionalmente alla competenza
dell’appaltatore (si veda Cass.
29 gennaio 2002, n. 1154); secondo l’indirizzo
tradizionale si è pronunciata invece Cass.
7 novembre 2000, n. 11783, escludendo la
responsabilità del direttore in tali casi. Il
direttore dei lavori deve inoltre rilevare le
inesattezze del progetto e dell’esecuzione,
verificando materialmente l’esito delle sue
indicazioni e segnalando tempestivamente al
committente le ulteriori inadempienze da parte
dell’appaltatore (Cass. 29 agosto 2000, n. 11359;
in senso conforme, Cass.
30 maggio 2000, n. 7180). Il direttore non deve
autorizzare l’uso di materiali deteriori rispetto a
quanto previsto nel capitolato, poiché ha il potere
di rappresentare il committente limitatamente alla
sfera strettamente tecnica e non di autorizzare
variazioni dell’opera. Una certa giurisprudenza di
merito (App.
Venezia, 24 dicembre 1996) ha esteso gli
obblighi del direttore dei lavori al punto di
affermare che, indipendentemente da ogni eventuale
responsabilità come progettista, egli sarebbe tenuto
ad una obbligazione di mezzi consistente nel
compimento di tutte le attività necessarie ad
evitare il prodursi di effetti dannosi. In base a
tale impostazione, il verificarsi di un danno
comporta sempre responsabilità del direttore dei
lavori, se era per lui possibile evitare il danno
stesso: non si può fare a meno di notare come tale
regime di responsabilità sia sicuramente in
contrasto con quello tradizionalmente ipotizzato per
le obbligazioni di mezzi. Ciò implica che il
direttore dei lavori deve controllare molto più
assiduamente l’esecuzione, fornendo - insieme al
materiale esecutore dell’opera - un apporto non
valutabile secondo il tradizionale criterio
dell’alta sorveglianza.
Per quanto riguarda la diligenza da utilizzarsi
nell’adempiere l’obbligazione, di recente la
giurisprudenza ha avuto modo di affermare che il
comportamento del direttore dei lavori deve essere
valutato non con riferimento al normale grado di
diligenza, ma alla stregua della diligentia
quam in concreto, rapportando la condotta
effettivamente tenuta alla natura ed alla specie
dell’incarico professionale assunto nonché delle
concrete circostanze nelle quali la prestazione è
stata svolta (Cass. 28 novembre 2001, n. 15124; Corte
dei Conti, 18 settembre 2001 e Cass.
29 agosto 2000, n. 11359). Infatti,Cass. 28
novembre 2001, n. 15124 sostiene
che, in tema di responsabilità conseguente a vizi o
difformità dell’opera appaltata, il direttore dei
lavori per conto del committente, sebbene presti
un’opera professionale in esecuzione di
un’obbligazione di mezzi e non di risultati, poiché
è chiamato a svolgere la propria attività in
situazioni involgenti l’impiego di peculiari
competenze tecniche, deve utilizzare le proprie
risorse intellettive ed operative per assicurare,
relativamente all’opera in corso di realizzazione,
il risultato che il committente-preponente si
aspetta di conseguire, onde il suo comportamento
deve essere valutato non con riferimento al normale
concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia
quam in concreto; costituisce, pertanto,
obbligazione del direttore dei lavori l’accertamento
della conformità sia della progressiva realizzazione
dell’opera al progetto, sia delle modalità
dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle
regole della tecnica; conseguentemente non si
sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di
impartire le opportune disposizioni al riguardo,
nonché di controllarne l’ottemperanza da parte
dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al
committente.
Va infine precisato un ultimo punto: non è infatti
ben chiaro se anche per il professionista valgano le presunzioni
di colpa che
l’art. 1669 pone a carico dell’appaltatore; seguendo
la tesi della responsabilità extracontrattuale e
quindi solidale, si dovrebbe propendere per la
risposata affermativa. Si è pronunciato in questo
senso Trib.
Perugia, 9 gennaio 1996, secondo
cui, in caso di rovina di edificio, la presunzione
di responsabilità posta dalla legge a carico
dell’appaltatore si estende anche al progettista ed
al direttore dei lavori. Tuttavia, sembra essere di
diverso Cass.
28 gennaio 2000, n. 972, la quale sottolinea
invece la necessità che il giudice di merito motivi
congruamente sulle inadempienze del direttore dei
lavori, lasciando intendere quindi che siano
necessarie precise prove in proposito: tale sentenza
non è tuttavia chiara riguardo al titolo della
responsabilità posto alla base della domanda. Pare
invece evidenziare un atteggiamento ben preciso
riguardo all’onere della prova Trib.
Roma, 20 luglio 2000, che richiede al
committente, il quale voglia citare ex art.
1669 il direttore dei lavori, la dimostrazione del
nesso causale tra le inadempienze di quest’ultimo e
l’insorgenza del vizio.